TROPPA CARNE TROPPA FAME
Approfondimenti:
Articolo:
troppa carne troppa fame
Citazioni famose e poesie
Articolo: E' giusto ignorare? (intervista)
Sito: Saicosamangi?
Dalla fabbrica alla forchetta
Articolo: cancro, la carne sul banco degli imputati
Sito:
domande frequenti sull'alimentazione vegana dal punto
di vista medico e salutistico
Documento
pdf: I vantaggi dell'alimentazione veg (punto di vista salutistico
e medico)
Articoli: Dossier SARS
Documento
pdf: La realtà degli allevamenti intensivi (descrizione particolareggiata)
Articolo: Meno mucche, più grano
Articolo: Viaggio negli allevamenti
intensivi
Articolo: Il morbo della mucca pazza: la
verità
Documento: Dossier influenza aviaria
F.A.Q: DOMANDE FREQUENTI SUL
VEGANISMO
L'ingiustizia alimentare chi mangia troppo e chi troppo poco - è
la più fondamentale delle iniquità. Il consumo medio
di carne nei paesi industrializzati è nettamente più
elevato di quello dei paesi poveri del Sud del mondo: oltre 80 chilogrammi
pro capite l'anno contro 17. Tre quarti dell'umanità vivono
con una dieta prevalentemente vegetale. Il 23% della popolazione della
parte "ricca" del mondo consuma anche pro capite il quadruplo
del pesce e il quintuplo del latte. Questa ingiustizia alimentare
può equilibrarsi in due modi: con una drastica riduzione del
consumo di prodotti animali nei paesi occidentali; oppure con l'aumento
dei relativi consumi nel Sud del mondo.
L'unica ipotesi sostenibile è la prima. La seconda, oltre a
trasformare il Pianeta in un ancor più gigantesco macello,
accrescerebbe l'insicurezza alimentare per tre ragioni intrecciate:
perché non c'è abbastanza suolo sul Pianeta per nutrire
un mondo di carnivori; perché lo stesso Sud affamato esporta
sempre più carne e cereali (destinati a diventare mangimi)
sottraendoli al consumo umano locale; perché il consumo di
carne è previsto in grande aumento negli stessi paesi poveri.
Il consumatore occidentale ha bisogno di circa una tonnellata di derrate
vegetali all'anno; circa 90 chili per il consumo diretto, il resto
per nutrire gli animali da carne, latte e uova. Nei paesi in via di
sviluppo, invece, il consumo diretto umano assorbe tuttora la gran
parte della quota.
In effetti, negli Stati Uniti il 70% degli alimenti vegetali (cereali
e semi oleosi) vanno a nutrire le stalle; in Europa circa il 55%;
in India solo il 2%. Il 50% dei ce-reali e il 75% della soia raccolti
nel mondo servono a nutrire gli animali allevati, anziché molte
più persone...
Potremmo avere l'impressione che dopo la "mucca pazza" e
con la diffusione della sensibilità vegetariana, la componente
delle salme nella dieta mondiale si sia ridotta. Ma questo vale solo
per l'Europa (dell'Ovest per ragioni sanitarie e anche un po' animaliste),
dell'Est per via del collasso economico). Invece, la dieta è
diventata ancora più carnivora negli USA.
Supponiamo che nel 2030 il raccolto di derrate vegetali a livello
mondiale sia pari a 2,2 miliardi di tonnellate; una quantità
che potrebbe bastare a nutrire popolazioni di varie dimensioni, a
seconda di quel che consumano: se la dieta fosse quella statunitense,
si nutrirebbero solo 2,75 miliardi di persone; se fosse quella europea
un po' di più, se fosse quella indiana, 11 miliardi.
Non c'è cibo per tutti in un pianeta di carnivori: perché
non c'è abbastanza terra sulla Terra per coltivare gli alimenti
vegetali necessari a nutrire la futura carne. Gli allevamenti intensivi,
infatti, sono "fabbriche di proteine alla rovescia": danno
rese proteiche e anche caloriche molto basse rispetto a quanto richiedono.
E competono per il cibo con gli umani. L'impronta ecologica il consumo
di risorse, in questo caso di suolo di una persona che segue una dieta
ad elevato consumo di carne è di almeno 4.000 metri quadrati
di terreno: è quanto occorre per produrre i foraggi e i cereali
che alimenteranno gli animali da carne; a un vegetariano bastano 1.000
metri quadrati. Dati preoccupanti, se si pensa che la disponibilità
di suolo coltivabile per ogni abitante del pianeta è attualmente
pari a 0,27 metri ettari, cioè 2.700 metri quadrati, e che
nel 2050 essa varierà fra miseri 1.200 metri quadrati a testa
(in caso di crescita demografica elevata) e 2.000 metri quadrati a
testa. Per quanti pesticidi, fertilizzanti e modificazioni genetiche
si possano applicare a questo poco suolo pro capite, esso non basterà
a produrre i vegetali necessari a nutrire tutti gli animali necessari
a una popolazione animale carnivora.
Una zootecnia nutrita con mangimi a base di cereali e semi oleosi
provoca una competizione diretta per gli stessi alimenti fra umani
e animali: è la cosiddetta competizione fra feed (mangime)
e food (cibo). Mentre in un sistema di agricoltura complementare tradizionale,
gli animali possono mangiare quello che non risulta commestibile agli
umani (paglia, scarti agricoli e di cucina), nell'allevamento intensivo
soia, cereali, semi proteaginosi sono spostati dall'alimentazione
umana diretta a quella animale. Anche quando mangiano foraggi, questi
sono coltivati su terre che potrebbero dare vegetali adatti a esseri
umani...
Si dirà: ma dalle stalle vengono fuori carne, latte e uova!
Esatto; peccato che sia molto scarsa l'efficienza con la quale l'industria
zoo-tecnica trasforma i cereali e le proteine vegetali in carne, latte
e uova. Essa varia a seconda del suolo o dell'animale. Comunque, per
la carne, la "perdita" di calorie e perfino di proteine
arriva fino a 20 volte!
La maggior parte delle statistiche sulle rese vegetali- animali non
considera la componente idrica degli alimenti e sostiene che con 4
chilogrammi di vegetali si ottiene un chilogrammo di carne di pollo,
idem per il maiale, mentre occorrono 10 chilogrammi di vegetali per
un chilogrammo di carne bovina. Il tutto è troppo ottimista...
Rifacciamo dunque i calcoli: metà del peso dell'animale alla
macellazione non è commestibile. Le razioni concentrate date
in pasto agli animali stessi hanno un massimo di 12% di acqua; la
carne invece è acqua fino all'80%. Si calcola che 2,2 chilogrammi
di sostanza secca (al netto dell'acqua contenuta nel mangime) diano
un chilogrammo di peso vivo di pollo industriale (considerato l'animale
che "rende" di più), ossia mezzo chilogrammo di carne;
ecco quindi che 1 chilogrammo di carne richiede 4,4 chilogrammi di
sostanza secca vegetale; ma togliendo l'acqua dividendo per cinque,
abbiamo appunto la resa in peso di un ventesimo rispetto ai mangimi.
Riferiamo ora il calcolo alle li proteine, per esempio di carne bovina.
L'alimento fondamentale per l'ingrasso dei bovini intensivi è
fatto di cereali e semi oleosi: mais insilato, farina di cereali,
farina di soia dopo l'estrazione dell'olio, orzo, poco fo-raggio.
Si calcola che per fare 1,5 chilogrammi di carne bovina occorrano
10 chilogrammi di sostanza secca vegetale, corrispondente a circa
1.400 gr di proteine vegetali. In questa quantità di carne,
il tasso proteico è di soli 250 grammi. Ecco che abbiamo una
riduzione proteica di quasi 6 volte ( molte di più in calorie
e peso). D'altronde, i maiali perdono con il loro metabolismo il 70%
delle proteine, ne assunte, i bovini l'80-90%, i broilers il 55%.
Qualcuno dirà che evitare di mangiar carne al Nord non necessariamente
ridurrà la fame dei poveri, perché la fame è
là e i cereali sono qua. Sbagliato. Perché dai paesi
della fame parte verso il Nord un'enorme quantità di cereali
e carne. La zootecnia europea importa anche da paesi poveri 50 milioni
di tonnellate di mangimi all'anno. La Commissione europea ha ammesso
che le terre del Vecchio continente sono in grado di nutrire tutti
i cittadini, ma non certo tutti gli animali europei. Il grado di autosufficienza
dell'Europa rispetto alle proteine vegetali a uso animale è
infatti pari a un misero 20% del fabbisogno totale delle stalle. le.
Cioè, in rapporto alle superfici disponibili, troppi animali
sono allevati, sia per nutrire forchette troppo robuste, sia per invadere
i mercati altrui con prodotti animali sovvenzionati (ad esempio il
latte in polvere che invade il mercato brasiliano e rovina i piccoli
produttori locali). La perversa zootecnia europea richiede che in
altri paesi un'area complessivamente pari a sette volte la superficie
europea sia coltivata per produrre alimenti destinati alle stalle
europee.
L'Etiopia, emblema della fame infantile e adulta, anche nei momenti
di carestia più estrema, coltivava ed esportava semi oleosi
per l'alimentazione animale. Il Brasile ha aumentato la superficie
coltivata a soia, che raggiunge 60 milioni di ettari, esportata per
metà alle stalle europee. Vende all'estero anche carne bovina
in quantità, ricavata dai pascoli che hanno soppiantato la
foresta amazzonica. In quel paese i malnutriti sono 30 milioni, in
gran parte contadini senza terra che non hanno alcun accesso alle
enormi distese possedute da allevatori latifondisti.
Un sociologo colombiano rifugiato in Europa, ha chiesto in una lettera
alla Comunità europea di non aumentare le importazioni di carne
dalla Colombia, per non immiserire ulteriormente i contadini poveri
di quel paese. Infatti, più vendite significano più
terre destinate a pascolo che gli allevatori latifondisti, con le
loro feroci squadre di paramilitari, sottraggono con la forza alla
foresta o agli agricoltori poveri. In Colombia 40 milioni di terre
sono a pascolo latifondista, mentre solo 5 milioni sono coltivati
a vegetali da piccoli agricoltori.
L'esportazione della carne bovina aumenta anche dall'India, paese
dell'(ex) vacca sacra. Ammazzare e vendere animali che da vivi aiutano
i piccoli contadini nel lavoro e a fertilizzare i suoli senza ricorso
alla costosa chimica, significa distruggere valore economico più
di quanto se ne crei. I1 "bello" è che, se anche
l'India volesse vietare l'esportazione della carne bovina per ragioni
religiose (in teoria è così), non potrebbe. andrebbe
contro le regole del libero commercio imposte dalla World Trade Organization.
La carne e il pesce esportati dai paesi del Sud non provengono in
genere da piccoli allevamenti contadini ma dalla zootecnia e dall'acquacoltura
intensiva che arricchiscono pochi abbienti, per un grosso danno collettivo.
Asia del Sud e Centramerica sono diventati forti esportatori di gamberetti
di allevamento, ricavati su terre costiere un tempo destinate alla
coltivazione di riso per uso locale. Un tempo la destinazione privilegiata
di tale export erano Giappone e Stati Uniti, ma proviamo a leggere
le indicazioni geografiche dei gamberetti nei supermercati italiani
e avremo delle sorprese. Si dedichino allora al pesce? Ma dai pesci,
ipercatturati tanto che il patrimonio marino Si sta depauperando,
si ricava in fondo solo il 5% delle proteine totali assunte dagli
esseri umani nel mondo, e 1'1% delle calorie. L'acquacoltura intensiva
provoca più problemi nutrizionali - da distruzione delle terre
- ed economici - da impoverimento - di quanti ne risolva.
La giusta alternativa alimentare per il Sud del mondo è nella
riscoperta e nelle sinergie fra i nutrienti. alimenti vegetali della
tradizione (niente a che vedere con il grano, il riso e il mais sciancati
e poveri, o con la soia transgenica); senza escludere l'autoproduzione
di integratori alimentari verdi a basso costo e la "pesca delle
alghe".
Per chi vuole saperne di più consigliamo il
libro LAV "Addio
alle carni", a cura di Marinella Correggia, con il contributo
di Elisa D'Alessio e Marco Francone.
Se l'attuale superficie coltivabile fosse destinato al consumo
diretto umano: e non a nutrire animali per la carne, sarebbe disponibile
cibo utile per uno popolazione di molto superiore all'attuale.
I Paesi industrializzati impiegano due terzi della produzione
mondiale di cereali per l'allevamento del bestiame e a causa di
questi allevamenti alle popolazioni povere non restano abbastanza
cereali per sopravvivere.
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