PSICOLOGIA
E DIRITTI ANIMALI
Approfondimenti:
Tra psicologia
e animalismo
La relazione tra l'uomo e il cane
Trattati come animali
Zoo e circhi
ZOO E CIRCHI
di Annamaria Manzoni, psicologa, psicoterapeuta
In qualche angolo della coscienza degli adulti sono presenti e vigili
la convinzione che la conoscenza degli animali sia utile per ogni
bambino e la certezza che avere contatti con loro non possa che
essere fonte di gioia ed interesse. E’ pertanto in perfetta
buona fede che molti genitori, oltre a far crescere in casa un animaletto
domestico, sono solerti ad accompagnare i loro figli allo zoo, dove
si vedono animali non altrimenti osservabili, o alla gran festa
del circo dove animali comuni o esotici vengono impegnati in performance
davvero fuori dalla norma.
Al circo i bambini sono sollecitati ad apprezzare quanto sono belli,
quanto sono bravi questi animali: e più gli esercizi sono
difficili, maggiore è l’entusiasmo che si vedono trasmettere.
Così come allo zoo l’animale più arrabbiato
o più inquieto è fonte di maggiore curiosità.
Ma è doveroso ben demarcare la differenza tra la conoscenza
di un animale così come può avvenire in una relazione
domestica o nella sua osservazione in un ambito naturale da quella
che ha luogo in situazioni che li snaturano: portati in luoghi che
non appartengono ai loro bisogni naturali, in condizioni climatiche
inadeguate, limitati in spazi insufficienti, privati delle relazioni
fondamentali con i loro simili, come avviene negli zoo; costretti,
in sovrappiù, a compiere esercizi, “numeri”,
estranei alla loro natura, che possono imparare solo e soltanto
attraverso un addestramento prolungato e crudele.
Che cosa può acquisire un bambino dalla vista di tutto ciò?
Esattamente quello che l’adulto gli suggerisce: in altri termini,
nel corso dello sviluppo la facoltà di critica e di giudizio,
la morale, si formano e si acquisiscono sul modello proposto o imposto:
è buono ciò che è presentato come tale, è
giusto ciò che viene regolarmente incentivato.
I genitori che accompagnano i figli allo zoo o al circo, lo fanno
come momento di festa, li esortano ad una curiosità interessata,
mobilitano una forma di gradimento e di entusiasmo; il bambino,
a seconda della sua età, tenderà a fare una sovrapposizione
tra lo spettacolo che vede e l’atmosfera che respira, che
è di approvazione e di serenità. L’identificazione
tenderà poi ad incidersi profondamente nella sua psiche tanto
che in futuro la visione di animali in analoga situazione eliciterà
i ricordi piacevoli ad essi ormai associati nell’inconscio.
Questa operazione avviene però mentre contestualmente viene
negato un aspetto importante della realtà, che è quello
della sofferenza: gli animali chiusi nelle gabbie mandano una serie
inequivocabile di segnali di disagio, insofferenza, nervosismo,
irrequietezza; mostrano la difficoltà connessa, nel circo,
alla costrizione a danzare a ritmo di musica, a camminare su due
zampe, a riproporre atteggiamenti comuni agli uomini, ma grotteschi
rispetto alla loro natura. Leggere tali segnali è frutto
di osservazione e reagire ad essi in modo empatico è alla
base dell’educazione alla sensibilità. Se le naturali
emozioni di disagio, speculari a quelle provate dall’animale,
si scontrano con l’allegra superficialità dell’adulto,
genitore o educatore che sia, sarà gioco forza per un bambino
non dare loro diritto di cittadinanza e adeguarsi allo stato mentale
che gli viene richiesto, per l’appunto quello di ilare soddisfazione.
Il risultato di tutto ciò è un’educazione all’insensibilità,
a non riconoscere nell’altro essere vivente, animale umano
o non umano, i segnali di dolore, a ritenere normali le manifestazioni
di dominio del più forte sul più debole.
Non si deve dimenticare che la capacità di individuare e
riconoscere i sentimenti e le emozioni degli altri, di vedere la
realtà da un punto di vista che non sia esclusivamente il
proprio, è fondamentale nella vita delle persone: permette
di strutturare il proprio comportamento tenendo conto delle esigenze
dell’altro, con il risultato spesso di inibire comportamenti
aggressivi e disfunzionali.
Ciò è ormai talmente riconosciuto che esistono addirittura
programmi tesi a promuovere lo sviluppo dell’empatia: lo si
fa chiedendo ai bambini di identificare le emozioni degli altri
e di leggere le proprie reazioni, in risposta ad esse.
Circhi e zoo vanno nella direzione esattamente opposta: educano
il bambino a non riconoscere lo stato d’animo dell’animale
che ha davanti, a disconoscere i suoi segnali di sofferenza, a reagire
con la gioia e il divertimento al suo disagio: gli stanno proponendo
un buon tirocinio per abituarsi a fare altrettanto con i suoi simili.
Tutto ciò è ormai in buona parte divenuta diffusa
acquisizione, tanto che sono molte in Europa le città che
rifiutano di ospitare sul proprio territorio circhi che vivono sullo
sfruttamento degli animali, mentre ampio è il movimento che
chiede con forza la chiusura degli zoo.
Purtroppo sopravvivono retroguardie chiuse a questa nuova consapevolezza
e che privilegiano il guadagno immediato ad un investimento sulla
formazione di nuove generazioni più sensibili al tema del
rispetto per ogni creatura vivente.
Non possiamo che augurarci che l’etica possa alla fine prevalere
sull’interesse.
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