PSICOLOGIA
E DIRITTI ANIMALI
Approfondimenti:
Tra psicologia
e animalismo
La relazione tra l'uomo e il cane
Trattati come animali
Zoo e circhi
TRATTATI COME ANIMALI
di Annamaria Manzoni, psicologa, psicoterapeuta
Uno sguardo agli articoli apparsi sui quotidiani di questi giorni,
riferiti ai noti fatti dell’Iraq e alle conseguenti interpretazioni
delle attuali guerre e violenze nel mondo, offre la possibilità
di un’analisi, che mi sembra interessante affiancare alle
decodificazioni politiche, sociologiche, militari, che gli stessi
fatti mobilitano.
Riporto un breve estratto del linguaggio che, nell’occasione,
è stato comunemente usato per descrivere in modo emotivamente
connotato la situazione: “Corpi appesi come quarti di bue”,
“Sgozzati come porci”, “ Trattati come bestie”,
“ Uccisi come animali”, “ La macelleria interetnica
dell’Africa”, “Trattati come cani”.
Il denominatore comune a cui hanno fatto riferimento, senza divisione
di colore politico, giornalisti, filosofi, commentatori è
dunque il mondo animale. O meglio: quel ricco panorama che contempla
i trattamenti normalmente riservati dall’uomo alle bestie,
vale a dire uccisioni, sgozzamenti, violenze, nonché le immagini
dei luoghi che sono il teatro delle abituali carneficine, quindi
macellerie con corpi squartati a pendere dai ganci. Quanto tali
realtà siano raccapriccianti lo dimostra il fatto che nessuna
altra situazione, vera o inventata, può evidentemente allo
stesso modo esprimere l’orrore e lo sbigottimento provocato
dalla attuale reiterata crudeltà.
Tutti coloro che hanno attinto e attingono a piene mani nel ricco
repertorio di violenze sugli animali sembrano implicitamente ritenerle,
purtroppo a ragione, come appartenenti alla consuetudine degli usi
e dei costumi e, in quanto tali, non in grado di disturbare le coscienze:
solo nel momento in cui le stesse azioni sanguinose e crudeli hanno
per oggetto un umano, diventano inaccettabili: se compiute su un’altra
specie, considerata inferiore, semplicemente sono “normali”.
Addirittura si può cogliere un sottinteso invito a limitarsi
a riservare alle bestie tali comportamenti, per risparmiarli agli
uomini: in questo modo non esisterebbe nessuno scandalo, nessuna
crisi, nessun problema.
Per altro, altre analogie col mondo animale non possono non essere
colte, data la loro drammatica evidenza: l’immagine sorridente
e orgogliosa dei militari armati davanti al gruppo dei prigionieri
denudati, feriti, umiliati richiama con inesorabile chiarezza quelle
dei cacciatori, bardati con diverse divise e simili strumenti di
morte, che si fanno ritrarre con i loro trofei di solito schiacciati
sotto lo stivale: animali forse un tempo fieri ridotti a stupido
vanto di chi fa della sua predominante forza fisica lo specchio
di una presunta superiorità.
Allo stesso modo l’indifferenza con cui alcuni soldati parlano,
ridono, scherzano ignorando la sofferenza che si consuma a pochi
passi da loro nei corpi offesi e nelle vite spezzate non è
in alcun modo dissimile da quella quotidianamente ripetuta nei laboratori
di vivisezione, dove l’indifferenza accompagna l’inflizione
dei peggiori tormenti alle vittime del momento.
Le analogie di cui si parla e che vengono in qualche modo banalizzate
dalla reiterazione delle espressioni usate, devono a mio avviso
essere ripensate, in quanto quello che lega le violenze sugli uomini
a quelle sugli animali è un rapporto molto più stretto
di quanto normalmente si creda.
In altri termini, da quando mondo è mondo, l’uomo ha
esercitato nel consenso generale il suo brutale e feroce predominio
in chiave specista: la specie ritenuta inferiore poteva a buon diritto
essere usata, sfruttata, tormentata, uccisa. A seconda dei periodi
storici e delle localizzazioni, il posto derelitto è stato
determinato dal sesso, con le donne ritenute inferiori e senza diritti;
dall’età, con bambini su cui il pater familias esercitava
diritto di vita e di morte; dallo stato sociale, con gli schiavi,
soggetti a tutti gli arbitri del padrone; dal colore della pelle,
con interminabili apartheid; dal nemico del momento e via continuando
lungo un percorso infinito dove c’è sempre stato qualcuno
con meno diritti su cui poter infierire.
Attualmente il nostro mondo occidentale, sulla scorta del diritto
e dell’etica, ha sviluppato costituzioni e rappresentazioni
del mondo quanto mai egualitarie in cui, almeno teoricamente, il
rispetto è dovuto ad ogni persona: purtroppo non ad ogni
essere vivente.
E così la ferocia quotidiana viene esercitata nei luoghi
della vivisezione, nei mattatoi, nelle arene, nelle zone di caccia:
luoghi che diventano palestre dove si impara a perpetuare la violenza
sul più debole e diseredato; sarà facile spostarla,
quando le regole del vivere civile saranno allentate dalle tensioni
belliche, su chi, in quel momento, sarà considerato l’altro,
l’estraneo, il nemico, il diverso da noi.
Margherite Yourcenar diceva che non sarebbero esistiti i vagoni
blindati per Auschwitz se l’uomo non si fosse prima tanto
esercitato ad analogo crudele trasporto su animali non umani. Così,
finché si convivrà con la brutalità verso gli
animali in quanto specie più debole, sarà sempre possibile
il passaggio a un simile comportamento verso altri uomini,solo perché
di un’altra razza, etnia, religione, civiltà e pertanto
inferiori.
“Quello che ci indigna –ha scritto pochi giorni fa il
filosofo Emanuele Severino in un suo commento sul Corriere - è
l’immagine dell’uomo ridotto ad un animale sofferente
o fatto cosa, un pezzo di carne”: ma non è venuto il
momento di indignarci anche per l’animale sofferente fatto
cosa, un pezzo di carne?.
Sono passati più di 400 anni da quando Giordano Bruno ha
avuto il coraggio di affermare che la sorte dell’uomo è
legata a quella di tutti gli altri uomini, ma anche a quella degli
animali e degli enti di natura, e che verso tutti loro va sviluppato
un atteggiamento di rispetto, che li inglobi in una totale armonia,
armonia che deve prendere il posto del rapporto di potere. Se l’etica
è specista, se il rispetto viene portato solo a chi sentiamo
molto vicino a noi, le drammatiche conseguenze oggi davanti agli
occhi di tutti non dovrebbero poi tanto stupirci.
Il mondo occidentale oggi non taglia più lingue e non accende
roghi davanti a queste semplici asserzioni: si limita, purtroppo,
a ignorarle. Così come sembra ignorare che, se ad una nuova
civiltà dobbiamo aspirare, questa deve essere quella che
persegue un ideale di rispetto non solo per tutti gli uomini, ma
per tutti gli esseri viventi.
Bello sarebbe se questo ideale, invece di essere guardato con la
condiscendenza paternalista che si riserva ai vaneggiamenti giovanilistici
di qualche minoranza inoffensiva, diventasse finalmente la filosofia
esistenziale e politica di chi esercita il potere.
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