Il populismo e il qualunquismo, i fascisti e i 100% animalisti nel movimento per la liberazione animale
A mano a mano che il movimento animalista cresce, deve fare i conti con le diverse anime di cui è composto. Se fino a qualche anno fa raramente si sentiva parlare di vegetarismo, ultimamente la questione animale inizia ad essere un tema diffuso e gli attivisti stanno aumentando e radicalizzando le loro proteste e attività un po’ ovunque. Grazie alla rete e ad una cospicua fetta di persone che hanno abbandonato una visione zoofila per abbracciarne una più radicale, ci troviamo ad aver fatto il passo più lungo della gamba e a dover ora affrontare quello che sarebbe stato meglio aver preso in esame qualche anno fa: le basi culturali e l’orizzonte politico dentro i quali può nascere un movimento radicale come quello per la liberazione animale.
Se fosse soltanto una questione di gabbie un po’ più grandi o di regolamenti per il benessere animale, tutti saremmo d’accordo che chiunque potrebbe aderire alla richiesta senza incorrere in gravi contraddizioni. Di fatto, le grandi associazioni protezionistiche storiche non hanno mai avuto l’esigenza di sottolineare l’aspetto politico della questione animale e hanno da sempre fatto della trasversalità la loro bandiera. Nelle loro iniziative chiunque è il benvenuto e il motto “tutto fa brodo” è ampiamente, se non universalmente, condiviso.
Negli ultimi 10 anni il movimento si è radicalizzato e ha avuto bisogno di chiarire alcuni suoi presupposti teorici che mai nessuno, neppure i “padri fondatori” (Singer e Regan), aveva ancora affrontato. Negli ultimi 10 anni il dibattito teorico si è notevolmente sviluppato e la questione animale è stata inserita in una cornice culturale più precisa, evidenziando legami, somiglianze, vicinanze – ma anche differenze - con altre lotte di liberazione intraumana e creando quelle interconnessioni indispensabili perché un aggregato spontaneista si possa trasformare in un movimento politico serio, preciso e con una chiara consapevolezza dei propri compiti e della propria collocazione socio-culturale.
Fino a qualche anno fa pochissimi animalisti conoscevano il significato del termine “antispecismo”. Questo era noto solo a quei pochi attivisti che, maggiormente dediti alla riflessione, già da allora non si accontentavano di un generico “animalismo”. Grazie ai nuovi media che permettono a chiunque di infarinarsi di tutto un po’ e alla loro capacità di moltiplicare l’informazione, alcune parole chiave utilizzate dalle frange più consapevoli del movimento sono diventate d’uso comune e oggi basta essere vegani per potersi dichiarare antispecisti, basta appoggiare le azioni dell’ALF per potersi dire radicali, basta insultare tutto e tutti per potersi dire animalisti al 100%. Il risultato è che ora abbiamo politici conservatori e populisti che cavalcano la “moda” animalista facendosi passare per paladini della libertà degli oppressi, attivisti che incessantemente denigrano il lavoro degli altri pensando che dirsi “duri e puri” sia l’antidoto contro i mali del mondo, attivisti dell’ultima ora e/o con un’ingenuità politica disarmante che, con aggressività e faccia tosta da vendere (e solitamente senza mai aver letto un rigo sulla questione) sferrano attacchi violenti a chiunque tenti di illustrare i problemi politici che inevitabilmente l’antispecismo porta con sé.
Il risultato di questo aumento di attivisti “generici” (che coincide con un periodo storico allergico a un dibattito culturale serio sul futuro e sulle possibilità di cambiamento politico - basti pensare alla vita precaria e breve di tutti i movimenti) è che la confusione regna sovrana, che tutti pensano di avere la ricetta sul come e cosa fare e che le lotte tra gruppi si fanno molto aspre. Le grandi associazioni animaliste e quelle generaliste continuano a portare avanti, a occhi bendati, il lavoro che hanno sempre fatto, consorziandosi tra loro in quanto convinte che ciò che primariamente importa è il numero. Queste associazioni, seppur si muovono e cercano di adeguarsi a istanze culturali sempre un po’ più “azzardate”(fino a qualche anno fa in nessuno dei loro bollettini o documenti si parlava di allevamenti, di vegetarismo o peggio ancora di veganismo), possono modificare parzialmente le loro istanze solo a patto di non disturbare troppo il buon senso comune del cittadino medio (pena il crollo dei consensi e delle tessere). È addirittura nata, sembrerebbe per ora con poca fortuna, l’associazione delle associazioni: “Nel Cuore”. A questa “lega delle associazioni” partecipano, con i loro blog, i presidenti di OIPA, LAC, LAV, ENPA, LIPU, LNDC, LEIDAA, CHILIAMACISEGUA, NOI ANIMALI, PRONATURA, MAREVIVO, CITY ANGELS. Per nessuno di costoro, evidentemente, costituisce un problema il fatto che il personaggio responsabile e fondatore di questa impresa sia Michela Vittoria Brambilla. E non costituisce problema, evidentemente, anche il fatto che in tutto il sito non ci sia una sola sezione dedicata a libri e approfondimenti culturali. Guarda caso che in periodo pre-elettorale la signora Brambilla organizza un bel meeting “Io voto col Cuore” (a cui possono democraticamente partecipare pure i quadrupedi) per discutere l’agenda politica da proporre al prossimo governo. Lo scopo di questo sodalizio, come dichiarato nel “chi siamo” del sito è quello de “l’unione fa la forza”. Ovviamente si combattono vivisezione, circhi, zoo, caccia, randagismo, inquinamento..., ma per quanto riguarda la carne, si denunciano solo gli allevamenti intensivi (verso cui anche la maggior parte dei carnivori sarebbe peraltro contraria) e si incentiva qua e là lo stile di vita veg.
Per verificare il livello culturale dell’intera faccenda basta scorrere i tristi blog sopracitati. Con una media di 5 post a testa in quasi un anno (e commenti di una banalità sconcertante) si vede subito che l’importante é sembrare molto decisi, parlando di tutto un po’ senza dover mettere mai in discussione l’organizzazione sociale umana con tutti i privilegi di specie che questo comporta. L’unica che nel suo blog è seguita con molti commenti (pur nei suoi pochi post e pur non interfacciandosi coi lettori) è la signora Brambilla che, come sappiamo, a causa della sua attiva militanza politica nella destra berlusconiana, è, con i suoi sostenitori, uno dei motivi di accesi conflitti in ambito animalista. Noi crediamo che molto astutamente la signora Brambilla porterà al suo partito (quello che, insieme alla Lega Nord, è il più lontano di tutti dai problemi animalisti e ambientalisti) e alle politiche fascistoidi e populiste, molti voti di persone che ingenuamente pensano che basti avere qualche parlamentare “forte” per aiutare la causa degli animali. Del resto lo scudo di attivisti che la signora Brambilla ha intorno a sé parla da solo: in cambio di qualche parola e vaga promessa si svende la possibilità di un cambiamento radicale che necessita di una visione totalmente nuova rispetto alla propaganda di questi politicanti in cerca di consenso.
Oltre la specie spera che questi attivisti allineati alle forze di destra, “ingenui e arrabbiati”, si rendano conto, col tempo, che l’animalismo ha bisogno di ben altro che di persone che badano solo all’azione (qual che sia poco importa) e che non perdono occasione di denigrare sui beneamati social network qualsiasi sforzo di approfondimento teorico. Noi crediamo che solo uno stretto rapporto tra teoria e prassi potrà permettere al movimento di crescere non solo nei numeri , ma in qualità e determinazione.
Se il qualunquismo degli attivisti brambilliani (quelli che stanno senza problemi con Michela Brambilla, ma sostengono che la politica non c’entra nulla con l’animalismo) è purtroppo condiviso dalla maggior parte degli animalisti e che potremmo riassumere con “ciò che riguarda gli animali non ha nulla da spartire con ciò che riguarda gli umani”, ci sono altri due elementi da cui viene costantemente inquinato il nascente movimento animalista: i fascisti di CasaPound e dintorni e gli attivisti dei 100% animalisti.
Del PAE (Partito Animalista Europeo) emanazione di quel qualunquismo dalle poche idee e poco chiare, non vale quasi la pena di parlare. E’ una formazione dichiaratamente trasversale, che si è apparentata con i Verdi (salvo staccarsi poco dopo) e ha tra i suoi militanti alcuni attivisti dei 100%. Attrarrà sicuramente qualche animalista ingenuo che non si domanda come voterebbe il PAE su tutte le questioni politiche (99,9%) che non riguardino gli animali non umani.
La destra estrema da qualche tempo ha iniziato a gravitare intorno alla questione animale. Ambientalisti, foreste che avanzano, squadre di pulizia di strade (oltre che etniche) e paladini della natura stanno tentando di occupare il campo purtroppo lasciato quasi totalmente sgombro dalle forze della sinistra (sia radicale che soprattutto progressista) e si stanno infiltrando nel movimento a velocità sostenuta (sia dal basso, con presidi e manifestazioni, che dall’alto, con siti internet presuntamente filosofici e intellettuali d’antan e riciclati per il nuovo uso).
La parte degli attivisti più consapevoli si trova a dover continuamente ribadire che il presupposto antifascista è sempre e comunque un punto fermo laddove si tratti di difendere davvero (e non con slogan ad effetto) i diritti dei più deboli. Non ci può essere lotta autentica e disinteressata senza i presupposti fondatori della cultura democratica e antiautoritaria che tutti dovrebbe accomunarci. Ma, nell’estrema povertà politica di questi ultimi anni, il valore dell’antifascismo sembra essersi dissolto e la parola, a molti, sembra apparire come un contenitore vuoto.
Oltre la specie vuole ribadire, onde non dover avere nulla a che fare con i fascisti, questo fondamentale valore che permea tutti i suoi soci e la sua attività. Non vogliamo fascisti o loro simpatizzanti alle nostre iniziative. Non vogliamo razzisti, sessisti e omofobi. Non possiamo difendere con coerenza la vita degli animali se non diamo per acquisito, una volta per tutte, il rispetto della vita umana in tutte le sue possibili individualità e diversità.
E poi, last but not least, ci sono i 100% animalisti che sono una vera piaga e spina nel fianco per tutto il movimento. Se nessuno del loro gruppo si dichiara apertamente fascista (vogliamo sperare che sia vero) il loro modo di fare attivismo è controproducente per l’immagine che il movimento dovrebbe dare di sé. Arroganti, inutilmente aggressivi, i 100% trovano qualsiasi pretesto per calunniare, offendere, denigrare non solo cacciatori, vivisettori, macellai, pellicciai ecc., ma anche gli attivisti di altre associazioni o gruppi animalisti. Accusano di furto chiunque raccolga fondi per gli animali, mettono in difficoltà attivisti che magari hanno dovuto compiere degli illeciti per le loro attività animaliste, offendono pesantemente qualsiasi persona che voglia farli riflettere sul perché il loro modo di fare sia dannoso per il movimento.
Chi ha militato nel loro gruppo e poi ne è uscito (odiato a vita e denigrato nei secoli dei secoli) sa quanto l’unanime e accorata unità attorno al loro capo sia solo il segno di un gruppo tristemente identitario, che non ammette differenze (e neppure sfumature) al suo interno, dogmaticamente convinto della qualità delle sue azioni (solitamente cori da stadio e affissione di qualche manifesto offensivo qua e là).
Oltre la specie non vuole avere nulla a che fare con i 100%. Non approva nulla del loro modo di agire. Se qualche attivista più defilato di questa associazione dovesse partecipare alle nostre manifestazioni, purché non indossi simboli inneggiati alla violenza e all’oppressione e si adegui allo stile dell’iniziativa (cartelli rispettosi delle persone, mai attacchi personali) non sarà forzatamente allontanato. Chissà mai che paragonando modalità di fare attivismo così diametralmente opposte costoro possano rendersi conto che la questione animale vale ben più di uno slogan campato in aria e di un’offesa lanciata al volo.
Ultimamente sotto quasi ogni comunicato antispecista siamo purtroppo costretti a leggere la frasetta, ormai diventata un tormentone: “l’antispecismo non può essere che antifascismo, antirazzismo, antisessismo, ...”.
Oltre la specie crede che questa frase dovrebbe, per prendere corpo e avere senso (e non restare uno slogan pressoché muto e che dice poco o nulla ai più) concretizzarsi nella realtà del movimento. Un movimento che non abbia ancora acquisito la capacità di confrontarsi apertamente e liberamente considerando le istanze delle sue varie componenti, che non riesce (o spesso non vuole) trovare momenti di incontro e dibattito collettivi, che pensa che si possa procedere con personalismi e decisioni prese da pochi invece che da migliaia di persone, forse ha problemi di democrazia interna. A mancare, spesso, non é l'obiettivo comune (che per chiunque consideri davvero la sorte degli animali non umani non può che coincidere con la loro liberazione), bensì la consapevolezza che sia necessario inserire l'azione dei singoli individui e gruppi all'interno di un paradigma critico che sappia concretamente andare oltre i facili slogan di condanna delle discriminazione inter- e intra-specifiche.
Se cessassimo, ad esempio, di concepire le campagne di pressione come territorio privato dei gruppi e delle associazioni che le hanno inizialmente promosse (spesso contrapponendosi contro singole situazioni di sfruttamento e senza valutare altre possibilità) e cercassimo di cimentarci in progetti allargati e di più ampio respiro, valutando insieme strategie, tattiche, rischi e benefici, potremmo finalmente parlare di un movimento per la liberazione animale in crescita e che non dipenderà più dai continui andirivieni di chi crede di avanzare facendo un passo avanti e due o tre indietro.
Oltre la specie ritiene che ancora per molti anni il “movimento” resterà in balia del qualunquismo, dei fascismi di varia natura e di un immobilismo dovuto alla mancanza di un confronto autentico, ma crede anche che questa fase di confusione/chiarimento potrà rivelarsi utile per crescere in forza e consapevolezza. Quelli che oggi sembrano vani tentativi di fare luce su lotte apparentemente intestine, saranno causa di importanti differenziazioni e feconde possibilità future di far nascere un dibattito culturale e sociale importante che possa seriamente mettere in crisi l’antropocentrismo. Zoofili, protezionisti, qualunquisti e fascisti vari, pur dichiarandosi spesso (ma a sproposito) antispecisti, non hanno ancora individuato nell’antropocentrismo il vero nemico da combattere. Combattono le persone, non le idee e le pratiche, e ciò non ha spostato in 30 anni, e non sposterà di una virgola, l’infimo valore che hanno gli animali nella nostra cultura.
Gli animali hanno bisogno di ben altro! |