OLS:
PRIMO SEMINARIO ANTISPECISTA - 2006
Relazione
L’uomo è l’animale
che dimentica
di essere un animale
Nella caratteristica cornice del “Paradiso dei Gatti”,
tra le colline di Borgo Val di Taro (PR), ha avuto luogo il primo
seminario antispecista organizzato da Oltre La Specie.
Uno splendido paesaggio immerso nella natura da condividere con
numerosissimi animali (ventinove gatti, nove cani, galli, pecore
e… chissà quanti ancora!), reso ancora più accogliente
dall’affettuosa ospitalità di Giorgio e Grazia, maestri
nel cucinare ed inventare squisite pietanze vegan.
Un fine settimana dedicato al tentativo di riflettere ed iniziare
una discussione finalmente costruttiva su cosa sia lo specismo,
la sua natura, le sue conseguenze e ramificazioni.
Quattro i relatori, con cui abbiamo avuto modo di discutere anche
durante le passeggiate tra i boschi:
1. Massimo Filippi: “Brevi note su Specismo e Antispecismo”
;
2. Annamaria Manzoni: “Meccanismi psicologici alla base della
violenza nei confronti degli animali;
3. Marco Maurizi: “La genesi dell’ideologia specista”;
4. Aldo Sottofattori: “Verso una pratica antispecista”.
Massimo Filippi ha dato il via al dibattito proponendo
una ricostruzione filosofica del concetto di specismo e del complicato
rapporto instauratosi tra umani e altri animali nel corso della
morale occidentale. A partire dall’episodio in cui la lacrima
sul viso di Odisseo lo trattiene di fronte alla visione del suo
fedele cane Argo, pur di non rinunciare a tornare in possesso dei
suoi averi, fino alla concezione dell’animale-macchina coniata
da Descartes, oggi inspiegabilmente ancora sostenuta dal filosofo
americano Carruthers.
La logica specista ha instaurato una vera e propria gerarchia sulla
differenza biologica esistente tra gli esseri viventi, al fine di
giustificare lo sfruttamento degli altri animali. Per dirlo con
le parole di Joan Dunayer, lo specismo non è altro che l’incapacità
di accordare ai non umani uguale considerazione e rispetto.
L’antispecismo richiede quindi una revisione profonda del
nostro modo di pensare e di agire nella pratica quotidiana, e non
può fare a meno di una richiesta di modificazione dell’attuale
stato giuridico dei non umani, riconoscendoli finalmente portatori
di diritti ed interessi.
Annamaria Manzoni ci ha offerto l’occasione
di approfondire un tema a lei caro e pertinente con la sua professione:
da un’attenta analisi psicologica delle motivazioni che causano
la pura e gratuita violenza contro gli altri animali, abbiamo compreso
che esiste una precisa cornice cognitiva radicata in ognuno di noi
che legittima lo specismo, ed è rispecchiata dal linguaggio
che utilizziamo a volte senza neppure accorgercene.
Persino la pubblicità e l’educazione che viene trasmessa
dai genitori ai figli contengono chiari ed evidenti messaggi simbolo
dell’indifferenza di cui sono vittima ogni giorno i non umani.
Abbiamo dibattuto a lungo su meccanismi psicologici tra i quali
la rimozione, il diniego e la desensibilizzazione, che intorpidiscono
gli umani creando una sorta di anestesia nei confronti della sofferenza
di tutti gli esseri viventi.
Una volta intuito come e quando si è sviluppato il pregiudizio
specista, è stato interessante interrogarci sulla sua genesi
nella storia. La riflessione ha assunto connotati storico-antropologici
grazie all’intervento di Marco Maurizi, che
si è fin da subito contrapposto all’antispecismo di
stampo singeriano, proprio perché quest’ultimo trascura
le variabili storiche in cui lo specismo stesso si è formato,
considerandolo una categoria puramente astratta e metafisica.
Dopo aver distinto lo specismo materiale, ossia l’insieme
di prassi che sfruttano i non umani per i bisogni tipicamente umani,
dallo specismo ideale, la giustificazione ideologica e antropocentrica
di tutte queste prassi, l’interrogativo si è focalizzato
sulla genesi dello specismo materiale: non ancora presente nella
Preistoria, a causa della concezione tipicamente magica della natura
che accompagnava i primi cacciatori, nasce durante il periodo Neolitico,
con l’avvento dell’agricoltura e dell’addomesticamento
degli animali.
Ma quando è nato il pensiero specista? Quando l’uomo
ha cominciato a considerarsi talmente superiore da giustificare
razionalmente il suo dominio su tutte le altre specie?
Secondo Marco è solo con l’epoca moderna, con la concettualizzazione
dell’uomo e dei suoi diritti che gli conferiscono un vero
e proprio privilegio morale su tutti gli altri esseri viventi che
si ha la vera genesi dell’ideologia specista: questa non coincide
quindi con la nascita delle sue pratiche, poiché la logica
della giustificazione dello sfruttamento animale va di pari passo
con la logica dello sfruttamento umano tipico dell’era moderna
e capitalistica.
L’ultimo intervento, poco prima di salutarci, dopo tante
riflessioni teoriche, è stato rivolto alla pratica. Aldo
Sottofattori ha descritto i diversi movimenti antispecisti
come caratterizzati da un andamento sterile e moralista, succubi
delle proprie illusioni.
Tutto ciò è riconducibile ai limiti dell’animalismo
contemporaneo, totalmente antipolitico, utopico, perché crede
che si possa risolvere il dramma animale senza modificare di una
virgola la struttura sociale che lo permette, ed infine atomistico,
perché pensa che lo sforzo di tanti singoli individui possa
bastare.
Aldo ha proposto alcuni validi suggerimenti, il cui comun denominatore
consiste nel conquistare una vera dimensione politica. Questa dovrà
essere costruita attraverso l’assunzione di una posizione
di visibilità, caratterizzata da un costante intervento nella
società, riconoscibilità, per evitare di continuare
ad essere considerata una eccentrica forma di zoofilia o di protezionismo,
ed infine dovrà esercitare una forte azione di disturbo ai
limiti, ma internamente alla legalità.
Solo in questo modo il movimento antispecista potrà finalmente
ottenere i risultati che si propone nel suo costante impegno quotidiano
nella lotta a favore dei non umani.
Di seguito una serie di fotografie del seminario:
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