OLTRE LA SPECIE
PET FOOD
:: TORTURATI PER UNA SCATOLETTA
di Daniela De Vecchis Completi e bilanciati, ricchi di omega 6 per un
pelo lucido e sano, di fibre speciali per una buona digestione, di vitamine
per rafforzare le difese immunitarie o, se il caso, in versione "light"
per dimagrire. Chi possiede un cane o un gatto ha letto molte volte descrizioni
di questo tipo sulle scatolette, sulle buste dei croccantini e sulle relative
pagine pubblicitarie. Senza immaginare che le industrie del pet food possano
compiere nei loro laboratori esperimenti cruenti proprio sugli animali.
Motivi che lo scorso 17 novembre hanno spinto l'Organizzazione internazionale
per la protezione degli animali a chiedere ai responsabili legali di alcune
aziende produttrici di pet food di sottoscrivere una dichiarazione sull'utilizzo
o meno di animali nei propri laboratori o in altri in "outsourcing".
L'iniziativa parte, in realtà, dal 1998.
"Quell'anno", racconta Antonella De Paola autrice di una "Guida
ai prodotti non testati su animali" (Ed. Cosmopolis 2001), L'azienda
si difese sostenendo che presso il suo stabilimento di Bertiolo, vicino
Udine, gli animali venivano trattati benissimo e tenuti in cattività
al solo scopo di osservare le loro preferenze alimentari". Rimaneva
però il mistero del perché la Friskies avesse bisogno di
un'autorizzazione ministeriale alla vivisezione per "osservare"
gli animali. "I dubbi si rinforzarono", continua De Paola, "quando
si scoprì che il mangime per pesci, uccelli e roditori commercializzato
in Italia viene prodotto da Friskies France: perché studiare le
preferenze alimentari degli uccelli se poi si produce solo mangime per
cani e gatti?". "la Lega antivivisezione, ottenuto dal Ministero
della Salute l'elenco delle società italiane autorizzate a effettuare
esperimenti su animali, rese noto che Friskies Italia era in possesso
di un'autorizzazione ministeriale alla vivisezione su animali 'minori':
uccelli, roditori, pesci e tartarughe. A partire anche dall'esperienza
di People for Ethical Treatment of Animals (Peta), British Union for Abolition
of Vivisection (Buav) e Uncaged Company, le maggiori associazioni animaliste
nel mondo, che documentavano gli esperimenti cruenti su animali, cani
e gatti inclusi, condotti dalle multinazionali del settore, "nel
febbraio di quest'anno", continua De Paola, "abbiamo stimolato
una protesta anche in Italia contattando, via e-mail, un gran numero di
associazioni, siti, gruppi, mailing list chiedendo loro di aderire a una
sorta di "coordinamento scatoletta no-cruelty". Il primo obiettivo
era quello di convincere Friskies a rinunciare alla sua autorizzazione
alla vivisezione, il secondo di indagare sul comportamento delle altre
aziende, scrivendo loro delle lettere e, sulla base dei risultati, stilare
un elenco di mangimi da sconsigliare ai consumatori.
Con l'esclusione di Affinità petcare (proprietaria, tra gli altri,
dei marchi Advance, Cat/Dog Chow), che si è dichiarata estranea
alla pratica della vivisezione, le altre multinazionali (Nestlè,
proprietaria di Friskies e Purina; Procter & Gamble, proprietaria
dei marchi Iams ed Eukanuba; Mars, proprietaria dei marchi Pedigree e
Royal Canin; Colgate Palmolive, proprietaria del marchio Hill's) non hanno
risposto". Il silenzio della Iams è tuttavia molto eloquente,
visto che nei suoi confronti pesano le immagini shock realizzate dalla
Peta, rese note lo scorso aprile. "Gli animali vivono in gabbie strette,
sporche e scomode", dice Peter Wood, membro della Peta, che ha investigato
per nove mesi uno degli stabilimenti della compagnia, "così
piccole da impedire loro un movimento adeguato fino a farli impazzire.
Così sporche da trasformarsi in veicoli di infezioni. Così
scomode a causa delle sbarre di metallo di cui si compone il pavimento,
tanto che le loro zampe riportano continue ferite". Il pretesto è
quello dei "taste test", semplicissime prove di appetibilità:
"in base alla quantità di scatoletta o di croccantini mangiati",
continua Wood, "si può capire quale è il gusto dell'animale.
Lo stesso obiettivo, tuttavia, può essere raggiunto dando il cibo
agli animali nei rifugi, nei canili o tramite gli "home test",
le prove di gusto effettuate su cani e gatti domestici dagli stessi proprietari".
Gli esperimenti sui prodotti dietetici e curativi, poi, potrebbero essere
condotti nelle cliniche veterinarie, sui soggetti affetti dalle patologie
di interesse, senza doverle indurre negli animali sani. "Noi invitiamo
i consumatori a non comprare quelle marche che testano i prodotti sugli
animali (sul
sito dell'Oipa si trovano le liste delle marche "buone" e "cattive"
continuamente aggiornate)", afferma De Paola, "e, magari,
chiedere al proprio negozio di fiducia o scrivere ai supermercati di non
importarli, dopo averli ovviamente informati". Inoltre, è
possibile nutrire gli animali domestici con una dieta bilanciata, senza
che, per questo, alcun animale abbia sofferto. "Con un po' più
di pazienza", conclude De Paola, "possiamo cucinare prodotti
freschi e naturali utilizzando magari particolari accorgimenti (per esempio
niente sale, riso molto cotto e così via) che il veterinario può
senz'altro consigliarci".
Magazine, 28 novembre 2003 © Galileo
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